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Sorveglianza sanitaria sulla Brucellosi (Brucella abortus; Brucella ovis) in un vasto territorio montano collinare. (Versione 1.1)

Dott. Marco Servili
11/04/2022
Editor IZSUM

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Sono Marco Servili, a mia volta figlio di un Veterinario, ho cominciato a fare questo lavoro come libero professionista nel 1981. Nel 1987 sono entrato nel Servizio Sanitario Nazionale. Mi sono interessato prevalentemente all’Area A: Sanità animale.

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Parlerò della mia esperienza sulla Brucellosi di bovini e ovini. Nel corso dell’attività veterinaria ho seguito da vicino questa malattia ed ho offerto sostegno ed assistenza agli allevatori.

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Una delle zoonosi su cui abbiamo lavorato particolarmente è certo stata la brucellosi (Brucella abortus, Brucella ovis). Ho iniziato a fare il veterinario nel 1981 e i primi casi li ho esaminati insieme ad altri colleghi con i quali collaboravo nella sorveglianza di un vasto territorio montano. Una volta capitammo in una stalla dove c'erano delle vacche da latte meticce il cui prodotto serviva per fare il formaggio. Erano anni in cui ci si doveva arrangiare e superare molte difficoltà. Gli strumenti erano pochi e bisognava sopperire alle carenze delle attrezzature con spirito di adattamento e un po' di arguzia.

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Il rapporto con gli animali poteva anche essere pericoloso. Gli strumenti a disposizione non erano come oggi, e si dovevano disinfettare le siringhe dopo l'uso. Inoltre queste stalle di montagna avevano una illuminazione a dir poco carente. Si doveva spesso operare in condizioni di semioscurità manipolando l'animale con difficoltà anche appoggiandosi a lui per fargli sentire che non c'era paura e che doveva obbedire. In questa situazione mi capitò di trovare degli animali positivi al test per la brucellosi. Fu un vero guaio per l'allevatore, ricordo che su 35 bovine almeno la metà risultarono positive, pertanto nostro malgrado dovemmo procedere all'abbattimento dei capi. I casi da brucellosi diventarono frequenti e molti dovettero addirittura chiudere l'allevamento. C'erano anche i sequestri dei formaggi e si doveva attendere un tempo di almeno 55 giorni prima di poterli vendere. In una stalla in regime di sequestro, non si può entrare e questo era un grosso guaio per l'allevatore. Quindi si trattava di piccole tragedie familiari per chi perdeva all'improvviso i suoi mezzi di sussistenza.

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La nostra vita professionale non era come oggi. I referenti istituzionali erano il Veterinario provinciale e soprattutto il Sindaco, l'autorità preposta per il territorio che decideva in materia sanitaria. Noi, ci sentivamo al centro di una attività di sorveglianza in cui si doveva far rispettare la legge ma che doveva essere gestita senza provocare più danni dello stretto necessario. Poi si cominciò a fare prelievi agli ovini. Nel mio territorio le pecore con cui avevamo a che fare erano prevalentemente meticce. C'era qualche capo di razza fabrianese ma per lo più erano incroci fra pecore locali con siciliane, prevalentemente comisane, per aumentare la produzione del latte. Ad un certo punto vennero le sarde portate da quei pastori che erano capaci e sapevano il loro mestiere. Anche in quel caso però emersero situazioni complesse. Anzitutto gli animali coinvolti dai controlli erano in numero rilevante ricordo quasi duemila ovini. In caso di abbattimento, lo Stato ripagava a malapena il valore degli animali ma non c'era risarcimento per la produzione mancata con una grande perdita economica per il pastore. Una cosa particolare è che questi ed i loro familiari erano per noi Veterinari una specie di bioindicatore. Quando uno di loro prendeva la brucellosi (a quel tempo la chiamavamo ancora febbre maltese), era il segno che dovevamo effettuare un controllo sul gregge e trovavamo animali positivi. Poi, come capitava spesso agli allevatori, a forza di manipolare animali infetti anche io sperimentali la brucella in prima persona e mi ammalai.

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I sistemi diagnostici erano piuttosto approssimativi ed i pastori a causa dei problemi che accennavo prima erano particolarmente reticenti e non collaboravano facilmente Bisognava tenere d'occhio la zona, conoscere tutti e comprendere dai piccoli segni se esisteva un problema. Cercavamo comunque di mantenere un buon rapporto con il pastore e l'allevatore, altrimenti sarebbe stato impossibile lavorare. Questo è un punto importante. Al giorno d'oggi, i nuovi Veterinari tendono ad essere sbrigativi, più propensi di noi a redigere verbali e comminare sanzioni, tanto che, per questo e per le note difficoltà economiche della zootecnia italiana, molti operatori stanno chiudendo e i giovani cercano altre strade professionali. Posso dire che i Veterinari di una certa età, cinquanta, sessant'anni, sono più collaborativi comprendono le difficoltà di chi gestisce tre - quattromila pecore o cinquecento bovini che non sempre riesce a seguire le normative punto per punto, per cui senza compiere abusi bisogna essere un po' elastici. I verbali implicano sanzioni sempre molto pesanti ed onerose sul piano economico che spesso si concludono con l'abbandono dell'attività zootecnica. Noi cercavamo di avere un rapporto improntato sulla collaborazione in cui si cercava di trovare insieme le soluzioni ai problemi. A volte c'erano dei Veterinari che venivano rifiutati e se si voleva portar avanti il lavoro di profilassi bisognava riconquistare la fiducia degli allevatori, soprattutto nella montagna che era una terra di frontiera. I giovani colleghi li portavamo spesso a fare esperienza. Ne ho avuti tanti. Un giovane, specie se donna, aveva in genere scarso credito fra i pastori e le prime volte bisognava introdurlo, mai mandarlo da solo. Era una specie di debutto, ma oggi sta tutto sta cambiando e la situazione è un po' più aperta.

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Se mi si chiede un buon consiglio per un giovane Veterinario che deve affrontare una zoonosi insidiosa come la brucellosi, è di porre molta attenzione di fare prelievi a cadenza regolare, soprattutto nei periodi di scarsa produzione (più facile avere l'attenzione del pastore), creando una routine basata sul rapporto di fiducia. Noi al tempo avevamo fatto riunioni e piccoli corsi agli stessi pastori per introdurre anche pratiche igieniche di base, utili per non contrarre o diffondere la malattia. I casi non sono stati moltissimi nonostante gli animali fossero molti più di oggi. Nel 1980 nella zona di mia competenza c'erano più di cento allevamenti. Oggi ne avremo dodici o tredici. Attualmente, per la mia esperienza (sono andato in pensione nel 2020) la brucellosi è in declino, non è più una malattia significativa e c'è stato certamente un contributo decisivo della profilassi per sanificare l'ambiente, all'inizio è stata dura con molti abbattimenti ma ora il territorio è effettivamente indenne da brucellosi. E' costato caro ma ne è valsa la pena. Un buon risultato della Regione Marche che dopo il 1990 è risultato sempre più evidente.

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