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Una esperienza di sorveglianza sanitaria sulla BSE - Bovine Spongiform Encephalopathies nel Regno Unito. (Versione 1.1)

Andrea Domenichini, Redazione SPVet.it, Comitato Scientifico MEOH
28/09/2022
Editor IZSUM

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Sono Andrea Domenichini, Veterinario dirigente di Sanità Animale presso la ASL La Romagna. Lavoro nel Distretto di Cesena.

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Parlerò della mia esperienza sulla BSE (Bovine Spongiform Encephalopathies) che ho fatto nel Regno Unito nel 2000 per conto del Ministero dell'Agricoltura (che allora si chiamava: Ministero Agricoltura e Foreste - MAF) in qualità di ufficiale Veterinario. Fra i compiti che avevamo c'era di effettuare controlli sul benessere animale; effettuare profilassi della Tubercolosi, della Brucellosi e controlli per rilevare l'insorgenza della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) che aveva cominciato a manifestarsi con preoccupante frequenza negli allevamenti di bovine da latte in Inghilterra.

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Ricordo che il mio lavoro sulla Encefalopatia consisteva in una specie di sorveglianza partecipata del comportamento del bestiame allevato. Gli allevatori erano infatti invitati a comunicare qualsiasi cambiamento di carattere degli animali. I controlli venivano effettuati particolarmente negli allevamenti da latte perché questi bovini più di altri erano stati esposti ad una alimentazione particolarmente ricca di componenti proteiche (sfarinati di carne e di sangue) in cui era presente la forma alterata di una proteina cellulare detta proteina prionica o prione, l'agente della BSE.
Ad ogni segnalazione ci recavamo nell'allevamento ed esaminavamo attentamente il soggetto sospetto. Non esiste un sintomo specifico che potesse aiutare a stabilire se un animale fosse affetto da BSE ma esistono una serie di sintomi che nel loro insieme denunciano lo stato patologico. Le vacche da latte sono generalmente animali molto tranquilli. I soggetti malati mostravano invece una alterazione del comportamento. Ad esempio passando, da una zona buia ad una illuminata, in caso di BSE l'animale mostrava una incoordinazione motoria fino anche a cadere. Bisogna fare attenzione perché l'animale è estremamente irritabile, tende a calciare con pericolo per gli altri animali e per l'operatore che la conduce. Quello che si nota è uno sguardo fisso appunto "pazzo", tremori muscolari.

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L'animale veniva valutato, tuttavia non si disponeva quasi mai un abbattimento immediato, si sottoponeva invece il soggetto ad un monitoraggio e se la sintomatologia peggiorava, l'incoordinamento motorio tendeva ad aggravarsi (fatica a camminare, permanentemente in decubito), dopo una o due settimane, si disponeva l'abbattimento dell'animale e si inviava l'intera carcassa all'Ente di Zooprofilassi locale per il prelievo ed analisi dei campioni.
Ciò si faceva per evitare di prelevare l'obex (tronco encefalico) in azienda per evitare l'eventuale contaminazione degli ambienti di allevamento.

In Italia i casi di sorveglianza passiva su segnalazione dell'allevatore sono stati relativamente pochi, presumibilmente per una limitata informazione e comunicazione fra i servizi sanitari e le aziende zootecniche.
Questa interazione è tuttavia essenziale. E' necessario che la sorveglianza sul caso, continui per un certo periodo al fine di una valutazione in progress che denuncerà l'effettiva presenza della BSE.

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C'è un problema di comunicazione. E' molto importante far capire all'allevatore che deve denunciare tempestivamente qualsiasi apparente disordine neurale seppure si tratti di eventi sporadici. E' vero che a fronte di migliaia di bovini infetti in Gran Bretagna, ci sono stati meno di trecento casi di trasmissione all'uomo ma l'Opinione pubblica è ugualmente molto sensibilizzata proprio per l'estrema gravità del Creutzfeldt-Jakob ed il suo costo a livello personale.
Le malattie prioniche sono patologie ancora poco conosciute ma è importante che siano poste sotto osservazione.

Per quanto riguarda l'eventuale trasmissione alimentare, sin dalla metà degli anni '90 sono state imposte misure che prevedevano l'eliminazione dei prodotti alimentari a rischio. I prioni si concentrano in determinati organo quali ad esempio midollo spinale, cervello, milza, tutti questi sono stati eliminati dal consumo alimentare. Eliminando questi il problema è stato drasticamente ridotto. Purtroppo sono stati colpiti molti consumatori di prodotti carnei, tra l'altro,  fra questi troviamo soprattutto quelle che utilizzavano con prevalenza prodotti di basso costo o piatti di cucina che contengono i tagli citati.
La situazione che abbiamo affrontato con gli allevatori inglesi, è stata tutto sommato piuttosto tranquilla.
Essendo la comparsa della malattia sporadica, pochi animali erano coinvolti ogni anno. Veniva pertanto eliminata la linea familiare dei soggetti coinvolti salvaguardando il gregge. Non si trattava quindi di grandi numeri e l'intervento era piuttosto tollerabile. L'atteggiamento dell'allevatore era estremamente collaborativo, a loro modo partecipavano alla valutazione dell'animale, fino alla decisione finale dell'abbattimento.

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Certamente se questa situazione venisse a prodursi in Italia, data l'esperienza fatta,  si dovrebbe cercare di impostare una nuova collaborazione con gli allevatori per gestire il flusso informativo verso i servizi veterinari. La denuncia dei casi sospetti dovrebbe essere incentivata fondamentalmente prevedendo un risarcimento finanziario appropriato e in tempi rapidi, del danno. In questo modo i casi sospetti sarebbero trattati senza criminalizzazioni, in un contesto collaborativo, assicurando l'efficacia delle azioni di contenimento della BSE.

Ciò che abbiamo imparato da quest'esperienza è il fondamentale ruolo della comunicazione e collaborazione fattiva fra allevatore e medico veterinario. Questo è l'unico modo per ridurre non solo i danni sanitari della BSE, ma anche quelli economici.

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